1445 Lettera di Federico da Montefeltro a Sigismondo Malatesta – Eugenio Larosa
CONTESTO STORICO
Nel corso del 1444, la regione delle Marche fu teatro di intensi conflitti, riflesso delle complesse dinamiche politiche e militari che caratterizzavano l’Italia tardomedievale. Francesco Sforza, condottiero di grande abilità, e il suo fedele alleato Federico da Montefeltro si trovarono accerchiati da una coalizione avversa composta da Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, Papa Eugenio IV e Alfonso d’Aragona, re di Napoli.
La coalizione aveva origini diversificate. Filippo Maria Visconti, in conflitto con il suo genero Francesco Sforza, attaccava i possedimenti dello Sforza in Lombardia. Papa Eugenio IV, preoccupato dall’espansione dei domini di Sforza nella Marca, si unì alla lega per contrastare l’influenza crescente del condottiero. Nel frattempo, Alfonso d’Aragona, che aveva subito perdite territoriali nel Teramano per mano di Francesco Sforza, si alleò con Visconti e il Papa per contenere l’avversario comune.
Verso la fine del 1444, Galeazzo Malatesta, signore di Pesaro, trovandosi in gravi difficoltà economiche e sotto la pressione della guerra contro il cugino Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, decise di cedere le signorie di Pesaro e Fossombrone rispettivamente a Francesco Sforza e a Federico da Montefeltro. La vendita fu formalizzata per una somma di 20.000 fiorini. La cessione di Pesaro a Francesco Sforza venne ulteriormente legittimata attraverso il matrimonio, celebrato l’8 dicembre 1444, tra Alessandro Sforza, fratello di Francesco, e Costanza da Varano, nipote di Galeazzo Malatesta. Conseguentemente, il 15 gennaio 1445, Pesaro fu trasferita formalmente a Francesco Sforza, che ne fece dono al fratello Alessandro.
Questi eventi ebbero significative ripercussioni sui rapporti tra le potenze italiane. Sigismondo Malatesta, che si attendeva di essere investito del dominio di Pesaro in virtù della sua alleanza con Francesco Sforza e del loro legame familiare, reagì con indignazione alla notizia della vendita. Sentendosi tradito, decise di abbandonare lo Sforza e passare dalla parte avversa, offrendo i suoi servigi ad Alfonso d’Aragona, re di Napoli.
Tuttavia, nonostante le iniziali difficoltà, l’offensiva sforzesca e quella di Federico da Montefeltro ripresero vigore, invertendo la situazione. Questo cambiamento di fortuna militare ebbe un impatto significativo sul fronte opposto, costringendo Sigismondo Malatesta e altri capitani ad arretrare nelle loro roccaforti, in una mossa difensiva volta a preservare ciò che restava dei loro domini.
LA LETTERA
È in questo clima di crisi per il fronte militare avverso che Federico da Montefeltro prese la decisione, seppur tardiva, di accettare la sfida lanciatagli alcuni mesi prima dal suo acerrimo nemico, Sigismondo Malatesta, signore di Rimini.
Della lettera di sfida inviata da Sigismondo Malatesta ne abbiamo già parlato in un articolo sempre su questo sito, trovate l’articolo all’indirizzo https://www.enionline.it/richiesta-di-duello-tra-malatesta-e-montefeltro/.
La decisione del Montefeltro non fu solo un atto di risposta alla provocazione del Malatesta, ma anche una mossa calcolata in un momento di debolezza del fronte avversario. L’inversione delle sorti sul campo di battaglia rese questa sfida particolarmente significativa, poiché Federico intendeva sfruttare il momento di difficoltà del nemico per consolidare ulteriormente la propria posizione e quella dei suoi alleati.
“A voi S.M.Sigismondo: Io Federico conte di Montefeltro dico, che sapete, et io chiaro bel posso mostrare, che mi richiedesti da prima di voler avere a fare con me, obbligandovi voi a trovare’l campo, all’una parte et all’altra non sospetto: che sono passati li mesi e gli anni, et il campo non trovaste mai; però, anzi lo trovai io a voi, che vi piacque fintanto che voi non sapeste s’io ‘l potessi ottenere; et ottenuto ch’io ebbi, non vi piacque poi: et questo fu Mantova.”
Io, Federico, conte di Montefeltro, vi scrivo per ricordarvi che siete stato voi a propormi inizialmente di affrontarci, impegnandovi a trovare un campo neutrale che fosse accettabile per entrambe le parti. Ebbene, sono trascorsi mesi e anni, e quel campo non l’avete mai trovato. Tuttavia, fui io a trovarne uno, e voi accettaste solo fino a quando non foste sicuro che io avessi ottenuto l’approvazione necessaria. Una volta ottenuta tale approvazione, il campo non vi piacque più: si trattava di Mantova.
“E perché voi siate su la mira d’invitarmi quando sapete che non si possa, o in luoco che non si debbia fare, et pascendo poi il popolo di fiaschi, mostrando che da voi non ramanga, come sempre sapete ch’è rimasto; e per torvi quest’arte, che voi gite usando, ho pregato l’eccellenza del conte (Sforza), et di grazia me l’ha concesso, ch’io abbia a fare con voi al presente in luogo che, denegandolo voi, sarà manifesto segno che non vogliate più mangiare in tovaglia, perché ogni persona vedrà che il gioco sarà più vantaggiato per voi che per me.”
Sembra chiaro che il vostro scopo sia invitarmi a duellare solo quando sapete che non è possibile farlo, o in luoghi dove non dovrebbe avvenire. Intanto, continuate a ingannare il popolo facendo credere che la colpa non sia mai vostra, anche se ben sapete che lo è sempre stata. Per smascherare questo vostro stratagemma, ho chiesto all’eccellenza del conte Sforza di concedermi il permesso di sfidarvi nuovamente, e con mia gratitudine egli me l’ha concesso.
“E però dimattina, col nome di Dio, stiate a venire alla metà della via in sul detto terreno, et appresso le dette fortezze, tagliate, sbarre et fosse fra ‘l Tavoleto et Conte Cavaliere, dinanzi a tutte le squadre dello esercito, et possanza del papa, re et duca; et io dinanzi a tutte le squadre della…. del conte: et così con gran detto vantaggio di sito e di gente vi caverò del debito vostro; svisandovi che, non venendo voi, vi farà una gran vergogna: perché, pensatevi bene sù.”
Vi invito dunque a incontrarmi domattina, nel nome di Dio, a metà strada tra le fortezze di Tavoleto e Conte Cavaliere, in presenza di tutte le schiere dell’esercito e delle forze del papa, del re e del duca. Io sarò lì, di fronte a tutte le schiere del conte, e con un grande vantaggio sia di posizione che di uomini vi libererò dal vostro debito. Vi avverto che, se non vi presenterete, ne subirete una grande vergogna: pensateci bene.
“Voi non potrete aver scusa legittima, con la quale potiate gite più argomentando et ricoprendo; et così farete palese che veruna cosa simulata possa essere diuturna, che assai vi siete ramantillato fin qui; et in questa volta non venendo, sarà chiaro che non vi sia basto l’animo.”
Non avrete scuse legittime per sottrarvi ulteriormente, né potrete continuare a dissimulare e nascondervi dietro argomentazioni fittizie. Sarà evidente a tutti che nulla di simulato può durare a lungo, e se non venite questa volta, sarà chiaro che non avete abbastanza coraggio.
“E così ho deliberato di porre fino a questa nostra lite, o con la prova chi meglio la potrà fare, o con discoprire le vostre articelle e machinelle, che né li né altrove sia vostra intenzione combattere; se non con la lingua, simulando e fingendo.“
Ho dunque deciso di porre fine a questa nostra controversia, sia dimostrando chi di noi è il più capace, sia smascherando le vostre sottili manovre che rivelano la vostra mancanza di intenzione a combattere, se non con parole, fingendo e simulando.
EPILOGO
Il duello tra Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta non ebbe mai luogo. La decisione di non accettare la sfida fu oggetto di commento da parte dei cronisti dell’epoca, i quali offrirono una riflessione profondamente radicata nella saggezza militare del tempo.
Come affermarono, i cronisti “il buon condottiero deve per quanto può rimaner padrone di sé e se un nemico ti offre battaglia è segno che crede ciò tornare in utilità sua e l’utile del nemico è sempre tuo danno“. Un’affermazione che ribadiva l’importanza della prudenza anche nei fatti d’arme: accettare uno scontro su invito dell’avversario presuppone che lo stesso sfidante ritenga di poter trarre vantaggio da essa, e ciò potrebbe portare a un esito sfavorevole.
Gli stessi cronisti ci riportano un’interessante considerazione sul tema dell’onore, concetto centrale nei rapporti tra condottieri, ma che deve essere interpretato alla luce della logica militare. Essi sostennero che “nė vale in questi casi il pungolo dell’onore perché nelle guerre l’onore non istà nel combattere sì nel vincere“. Per cui l’onore, considerato un imperativo morale che spingeva i condottieri ad affrontare ogni sfida, non doveva risiedere nel mero atto del combattere, ma si dimostrava nel raggiungimento della vittoria. In poche parole, il valore di un condottiero era misurato dalla sua capacità di prevalere, non dal suo desiderio di dimostrare coraggio in battaglie evitabili.
La mancata accettazione del duello da parte di Sigismondo Malatesta, quindi, non fu vista come un atto di codardia, ma piuttosto come una scelta strategica che rispecchiava la prudenza e la consapevolezza delle reali dinamiche di potere in gioco
QUALCHE CONSIDERAZIONE
Federico da Montefeltro si rivolge a Sigismondo con tono accusatorio (“dico, che sapete, et io chiaro bel posso mostrare”), sottolineando la mancanza di onore del suo avversario nel non rispettare gli impegni presi.
Federico evidenzia come Sigismondo abbia cercato di evitare lo scontro diretto, inventando scuse e scegliendo condizioni che non avrebbero mai permesso un duello leale (“denegandolo voi, sarà manifesto segno che non vogliate più mangiare in tovaglia”). La sua argomentazione si basa sul fatto che il vero coraggio si dimostra con i fatti, non con le parole (“con discoprire le vostre articelle e machinelle, che né li né altrove sia vostra intenzione combattere; se non con la lingua, simulando e fingendo”), e che il comportamento di Sigismondo è un chiaro segno di codardia.
Inoltre, la lettera serve a mettere Sigismondo in una posizione in cui non può più evitare lo scontro senza subire una grave perdita di prestigio e onore (“svisandovi che, non venendo voi, vi farà una gran vergogna”) . Federico, abile stratega, ha preparato tutto per garantirsi un vantaggio sia militare che morale, e usa questa lettera come strumento per forzare la mano al suo avversario.
Questa lettera è un esempio di corrispondenza militare e politica del Rinascimento, caratterizzata da una forte retorica e da una dialettica accesa tipica dei condottieri del periodo. Questo tipo di comunicazione non costituiva un semplice preludio a uno scontro fisico, ma rappresentava anche una sofisticata battaglia psicologica, in cui la reputazione e l’onore rivestivano un’importanza pari, se non superiore, a quella di una vittoria sul campo di battaglia.
Il confronto tra i condottieri non si limita alla mera dimostrazione di forza, ma includeva anche un intricato gioco di prestigio e intimidazione, in cui l’immagine pubblica e la percezione del coraggio e dell’integrità avevano un peso determinante.
Per quanto ne possano dire i cronisti di parte, l’onore non era soltanto un concetto astratto, ma una risorsa strategica, utilizzata per consolidare alleanze, demoralizzare l’avversario e rafforzare la propria posizione all’interno del complesso tessuto politico dell’epoca.
1445 Lettera di Federico da Montefeltro a Sigismondo Malatesta – Eugenio Larosa
Documenti
Archivio di Stato di Pesaro e Urbino, Carte d’Urbino.
F.Ugolini, Storia Dei Conti E Duchi D’Urbino, Vol. I & Vol. II , rist. anast. 1859 (link)
Ringrazio Alberto Gatti per avermi messo a conoscenza di questo documento.